Il restauro del ciclo di Vittore Carpaccio Da settembre 2019 è in corso un importante intervento di restauro finanziato da SAVE Venice sulle opere di Vittore Carpaccio realizzate per la Scuola Dalmata di Venezia tra il 1502 e il 1511. Il progetto è stato elaborato partendo da una conoscenza preliminare delle opere ritenuta indispensabile per la formulazione di una metodologia di intervento pertinente e idonea ad una corretta e omogenea conservazione. In una prima fase, in considerazione dell’eccezionale importanza del ciclo pittorico, prima e durante la messa a punto delle metodologie di intervento, è stato fondamentale rileggere le fonti documentarie note e cercarne di inedite, nel tentativo di ricostruire la storia iconografica conservativa e spiegarne le peculiarità rispetto alla produzione nota del Carpaccio. In particolare si è partiti dalla rilettura delle fonti storiografiche fino ai nostri giorni, ci si è soffermati sulla ricerca documentaria in particolare nei fondi nell’archivio e nella biblioteca della Scuola Dalmata, sul reperimento dell’iconografia completa del dipinto (disegni, incisioni, copie, fotografie) e sui passati interventi di restauro, partendo dall’ultimo documentato del 1946 di Mauro Pellicioli (Archivio personale conservato presso Associazione Giovanni Secco Suardo e fototeca Pellicioli).Lo svolgimento di ulteriori indagini diagnostiche (fisiche e chimiche) hanno perfezionato e confermato le informazioni ottenute dalla campagna scientifica preliminare. Tali risultati avvalorati dal confronto e dall’analisi delle informazioni reperite grazie all’osservazione ravvicinata delle opere, hanno permesso di arrivare ad una conoscenza più approfondita della tecnica esecutiva, dei processi creativi dell’autore e della loro sequenza. La seconda fase è stata il vero e proprio intervento di restauro documentato fotograficamente e graficamente in ogni procedimento attraverso schede dello stato di fatto, della tecnica esecutiva, degli interventi precedenti e monitorato da indagini scientifiche puntuali. La Vocazione di San Matteo è l’opera scelta per raccontare il restauro (intervento concluso a dicembre 2020) e spiegare cosa abbia rappresentato nel processo di conoscenza e approfondimento della tecnica esecutiva e del procedimentocreativo adottati dal Carpaccio.Prima di approfondire l’analisi della Vocazione possiamo già affermare che grazie ai risultati alle indagini diagnostiche condotte prima e durante l’intervento, sono emersi alcuni elementi comuni alle opere del ciclo. Questi dati, confrontati con le informazioni ottenute grazie alla rilettura dei documenti, hanno permesso di ricostruire con precisione anche le vicende conservative del ciclo. La prima informazione emersa dall’osservazione del supporto è l’uniformità: tutti sono composti da due tessuti di lino con un’altezza di circa cm 70-72. La scelta dell’armatura a tela e la sua fittezza rispondono ad una specifica finalità cioè la realizzazione di un supporto il più possibile liscio. Lo scopo dell’artista, quindi, potrebbe essere stato quello di ridurre lo spessore della preparazione per rendere i supporti più flessibili e per garantire una miglior adesione del colore, meno soggetto così alla formazione di crettature. Questi accorgimenti dovevano essere sicuramente bagaglio comune di una buona “bottega” perché si ritrovano anche nei teleri di Gentile Bellini. A quanto è stato finora verificato sulle opere sottoposte al restauro, il Carpaccio segna con una leggera incisione il limite della pittura, lasciando i bordi perimetrali con la tela a vista solo colorata di marrone o nero: fasce adeguate a essere ripiegate per il tensionamento sul telaio o coperte dalla cornice.Le indagini chimico-stratigrafiche, eseguite preliminarmente su cinque micro-frammenti di materiale pittorico, hanno confermato la presenza di una sottile preparazione composta da gesso e colla animale con sopra una leggera mano di biacca stesa a tempera proteica, per rendere liscio e bianco il piano su cui riportare il disegno preparatorio. Le immagini riflettografiche in infrarosso rivelano un disegno preparatorio, eseguito a pennello, ben definito sia per la realizzazione dei volti, delle mani, dei panneggi e delle architetture, sia per comporre i piccoli oggetti, fini decori e le ombreggiature. I pigmenti tipici della tavolozza quattrocentesca sono stesi mediante due mani di colore, sfruttando trasparenze e mescolanze per schiarire o scurire le tonalità. Risparmiava il prezioso lapislazzuli per gli strati finali per rendere l’effetto bluastro sui mantelli dei monaci o per le tinte più intense del cielo. Per realizzare le decorazioni delle vesti, aureole, riflessi di luce non usa la foglia d’oro, ma sottili linee o piccoli tocchi corposi di colore giallo, con cui ottiene lo stesso effetto. Il legante sembra proteico, ma l’individuazione del materiale è ancora oggetto di studio. La sottigliezza e l’abrasione del colore ne rendono difficile l’indagine poiché non è possibile raccogliere del materiale non inquinato dai consolidanti applicati nei passati interventi di restauro. La Vocazione di San Matteo Solo uno studio preparatorio del volto di un discepolo e di alcuni dettagli è, ad oggi, ciò che si può riferire ad una fase iniziale di progettazione della Vocazione di san Matteo. Il disegno della Fondation Custodia di Parigi, ritenuto autografo, riporta nel retro il profilo di un uomo barbuto, vero e proprio studio preparatorio della figura del discepolo tra il volto di Matteo e quello di Cristo e nel verso i Tre studi con drappeggi, gamba e piede, da riferire allo studio del panneggio della gamba destra di Cristo, posta lievemente in diagonale per suggerire l’idea del movimento e quindi l’avvio del cammino fisico e devozionale. Il dettaglio del piede potrebbe inoltre collegarsi ad un disegno che ritrae lo stesso arto ancora privo di calzari, presente nella prima versione della scena, senza la lesena bianca in primo piano. La riflettografia in infrarosso ha rivelato alcuni particolari interessanti del modo in cui Carpaccio ha realizzato quest’opera. Gli studiosi hanno nel tempo riconosciuto nella composizione la presenza di due ritratti: il volto di profilo a sinistra di Matteo e quello di una figura, tra gli apostoli, caratterizzata da un naso aquilino. Il personaggio a sinistra dietro Matteo è stato aggiunto dopo l’esecuzione dell’edificio: il disegno preparatorio dell’architettura attraversa infatti il volto (fig. 2). L’immagine prima del restauro e soprattutto quella dopo la rimozione della vernice e dei ritocchi del Pellicioli del 1946, rivela una ridipintura molto antica che ricostruisce la parte superiore della testa, l’orecchio, parte del mento e del collo (fig. 3). Guido Perocco ha indentificato il ritratto di profilo di Sebastiano Michiel, priore dell’Ordine